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Diego Giordano

Søren Kierkegaard Forskningscenteret - Københavns Universitet

Idee e contesto. Tra filosofia teoretica ed epistemologia


Le idee non possono essere strappate dal loro contesto. Questo il presupposto di qualsiasi Erörterung, che indichi e osservi il luogo della discussione. Così la relazione tra idee e contesto è una relazione interna. Quando tale relazione viene meno si cade nel dogmatismo.


In un articolo del 1964, Understanding a Primitive Society, P. Winch mette in luce come sia difficile liberarsi dall’idea che la forma scientifica di pensare sia mutuabile a qualsiasi altro luogo (Ort) della discussione, e come erroneamente si consideri il pensiero scientifico in quanto paradigma con il quale confrontare la rispettabilità intellettuale del discorso religioso. Quest’ultimo ha invece un carattere autonomo e logicamente diverso da quello che caratterizza la realtà scientifica. L’intelligibilità che si ritrova nella religione non deve necessariamente essere quella che riguarda la scienza. Si confonde troppo spesso la religione (e la filosofia della religione) con la teologia razionale. La religione richiede un fondamento. Che tale fondamento debba assumere connotati razionali, non è altro che una ridefinizione analiticamente valida che null’aggiunge, in ogni possibile enunciato sul divino, all’argomento (Dio). Già Tommaso, e recentemente il noto epistemologo americano A. Plantinga, ravvisava che la speculazione - sola ratione – su Dio e sulla creazione non è l’elemento su cui si struttura la vita del credente. La concezione razionalistica della religione viene intesa come un modo imperfetto di dare risposte a questioni cui solo la filosofia e la scienza possono rispondere, nella misura in cui si tenta di trovare il senso di asserzioni religiose in qualcosa di diverso dalla religione (cfr. R. Rhees, On Religion and Philosophy).


Furono gli esponenti del Wiener Kreis a dichiarare insensate (unsinnig) metafisica e religione in quanto non suscettibili di verifica empirica e incapaci di descrivere alcunché. Ma in tale ottica, dopo il dogmatismo, è rintracciabile l’altro azzardo che si suole compiere uscendo dalla Erörterung: quello del relativismo dovuto all’arroccarsi su posizioni univoche dalla quali sospingere un confronto che non chiama in causa l’ Ecken-steher dell’altro. Verifica e falsificazione sono le architetture reggenti della “filosofia prima”, quanto l’etica (anche quella professionale) è integralismo armato.


Significativo allora è che lo stesso ispiratore del neoempirismo, L. Wittgenstein, sia tornato sui propri passi rivalutando la religione e la teologia in quanto dimensioni di un senso non scientificamente analizzabile. Le differenze grammaticali (e anche metodologiche) sono ontologicamente importanti poiché chiamare un’osservazione “grammaticale” non vuole dire escluderla da ogni relazione col mondo reale; anzi vuol dire proprio mettere in evidenza l’uso di una parola nella pratica effettiva del linguaggio. Il significato delle parole non concerne la semiotica ma «il modo in cui una parola si capisce» (L. Wittgenstein, Zettel); e il modo in cui una parola si capisce direziona significato e azione. (Kierkegaard denunciava il concetto filosofico di verità oggettiva come astrattezza e formalismo che non attiene al soggetto esistente).


Detto a margine, per quanto concerne la “teoria dell’evoluzione”, c’è un indirizzo filosofico concernente la moderna biologia evoluzionistica che recentemente si è chiesto se la teoria dell’evoluzione sia costruita su una tautologia.  La teoria della selezione naturale è infatti basata sul concetto di “survival of the fittest” (lett: sopravvivenza del più adatto). Ma quali sono gli organismi che meglio si adattano? Quelli che sopravvivono. In tal modo si cade in un truismo logico che piega l’indagine su se stessa, sull’indagine.


Se non vi è scienza del fenomeno religioso, non vi è parimenti alcuna Wissenschaftlichkeit assiologicamente funzionale.


E l’evoluzionismo non riguarda l’uomo.